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L’importanza del Welfare aziendale: un Convegno a Milano il 5 dicembre


L’importanza del Welfare aziendale
Un Convegno a Milano il 5 dicembre


I temi del welfare connessi anche al mondo del lavoro sono cari alla nostra azienda. Union Brokers è la prima del settore ad aver conseguito la certificazione del sistema di responsabilità sociale SA8000:2008.
Segnaliamo quindi per affinità di sensibilità questo convegno su Welfare aziendale e lavoro previsto per il 5 dicembre prossimo a Milano: www.welfareworld.it/

Storicamente il welfare aziendale è stato uno degli elementi attraverso i quali si è definito il ruolo dell’impresa nella società. Se le esperienze di fine Ottocento presentano tratti comuni, nel corso del Novecento esse si differenziano e si legano al modello di capitalismo adottato dai diversi stati. Tuttavia in questo ultimo decennio, in un contesto di crescente globalizzazione e di contaminazione delle istituzioni economiche, il welfare aziendale ha riconquistato un ruolo importante in tutti i paesi industrializzati, ma soprattutto si è trasformato in fattore strategico per definire il ruolo e la funzione delle imprese non solo nell’economia, ma anche nei territori in cui operano.

WELFARE WORLD è un expoforum sul welfare aziendale, articolato in convegni di aggiornamento, workshops tematizzati e correlati spazi espositivi. Si rivolge a tutti i lavoratori, in particolare dell’area risorse umane.
L’evento è organizzato da JEKPOT, VAP (Value Added Partner) che opera nel campo del knowledge management, declinato nei settori Eventi, Formazione, Media e Servizi alle imprese.

Gestione del rischio: +34% nel ROI per le aziende più attente +39% nel ROE

Gestione del rischio: + 34% nel ROI per le aziende più attente e + 39% nel ROE

La gestione del rischio, se ne parla abbastanza? Eppure nelle aziende conviene: +34% Return on Investment – ROI e +39% di Return on Equity – ROE. Lo dice l’Osservatorio Cineas-Mediobanca presentato oggi al Politecnico di Milano. Se hai un’azienda, anche se in questo momento stai rilassandoti online, facci un pensierino. C’è chi l’ha già fatto: le imprese che gestiscono i rischi nella modalità più evoluta in Italia sono passate dal 17,2% del 2016 al 37,5% del 2018. Parliamo dei settori alimentare, beni per la persona e la casa, chimico farmaceutico, meccanico e metallurgico. 

Secondo Massimo Michaud, Presidente di Cineas, Consorzio universitario non profit fondato dal Politecnico di Milano nel 1987: “Dai risultati della ricerca emerge che la gestione integrata dei rischi caratterizza le imprese più performanti sul mercato”. A livello geografico le regioni del nord-est si classificano nelle prime posizioni per l’attenzione ai rischi; mentre tra i settori il chimico-farmaceutico e l’alimentare si distinguono per essere virtuosi. Milano, 6 novembre 2018 – La novità del 2018 è che le imprese che gestiscono i rischi nella modalità più evoluta sono passate dal 17,2% del 2016 al 37,5% nel 2018. La conferma è che continua ad evidenziarsi una correlazione positiva tra performance economiche e gestione integrata dei rischi: oltre un terzo di ritorni in più (+34% Return on Investment – ROI e +39% di Return on Equity – ROE) per le aziende attente ai rischi. Inoltre, è una buona notizia che, nello stesso periodo, la percentuale di aziende sprovviste di un sistema di gestione dei rischi è passata da quasi il 20% a circa il 6%. 


Sono i risultati della VI ed. dell’Osservatorio Cineas-Mediobanca sulla diffusione del risk management nelle medie imprese italiane, ricerca annuale che nel 2018 ha avuto 308 aziende rispondenti attive nei settori: alimentare, beni per la persona e la casa, chimico farmaceutico, meccanico e metallurgico. Il fatturato medio delle aziende rispondenti
è di 58,2 milioni di euro con 151 dipendenti. A livello geografico le aziende più virtuose si trovano nel nord est d’Italia, seguite dal nord ovest e dal centro, mentre emerge un significativo ritardo delle aree meridionali. Un’impresa su tre del Mezzogiorno non dispone di un adeguato presidio del rischio, contro la media nazionale di una su cinque imprese. I settori più virtuosi sono il chimico-farmaceutico e l’alimentare. “La nostra ricerca ci ha permesso di sottolineare come il governo dell’impresa debba ricomprendere la gestione dei rischi – commenta il Presidente di Cineas, Massimo Michaud –. Le aziende più attente alla gestione del rischio guadagnano di più e sono più propense all’innovazione. In particolare, è importante che il management sia edotto sui rischi operativi dell’azienda in quanto nel 57% dei casi è responsabile di questa funzione. La gestione del rischio esce dalla sfera delle funzioni specialistiche per permeare l’attività dell’impresa nel suo complesso”. 

LA RASSEGNA DEI RISCHI ESAMINATI DALLA RICERCA: DAL PASSAGGIO GENERAZIONALE AL CYBER RISK 
Il passaggio generazionale. Il passaggio generazionale è considerato come un fattore di elevata criticità dall’80% delle aziende intervistate. Le MI italiane del campione hanno quasi 50 anni di storia imprenditoriale e vedono alla guida più frequentemente la seconda generazione (41,3% dei casi) e la prima generazione (34,9%). Governance “aperta”, performance migliore. La maggioranza dei CEO (81%) proviene dalla famiglia proprietaria dell’azienda, ma con il progredire delle generazioni aumenta la probabilità di assunzione di un CEO esterno alla famiglia, che in genere è più giovane e, più frequentemente, ha un grado di istruzione universitaria. Questo modello di governance “aperta” porta performance economiche migliori, rispetto alle aziende dove permane la sovrapposizione tra proprietà e gestione familiare (ROI: 13,2% vs 10,2%). 

Le imprese italiane e Industry 4.0. 
In tema di innovazione l’indagine ha preso in esame le azioni intraprese dalle aziende per sfruttare le opportunità derivanti da Industry 4.0. Solo il 23,2% delle imprese ha investito sia nell’innovazione dei macchinari che dei processi, mentre il 36% delle imprese non ha ancora attuato nessun tipo di trasformazione. I dati evidenziano che le imprese che si sono attivate per l’adozione delle innovazioni tecnologiche hanno performance economiche migliori di quelle che sono indifferenti o in ritardo rispetto a Industry 4.0. 

Una quota notevole di imprese che si è cimentata con Industry 4.0 (30%), lo ha fatto dotandosi delle skills necessarie tramite piani di formazione interna (già realizzati o in programma per il 77,7% dei rispondenti) o tramite acquisizione di risorse esterne specializzate (20%). “In questo rinnovato scenario si evidenzia la sempre maggiore centralità che stanno assumendo i cosiddetti asset intangibili – intendendo con questa espressione il know how, il valore del brand, la reputazione, gli investimenti nella formazione – per le performance dell’impresa” osserva Gabriele Barbaresco, Direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca commentando i risultati della ricerca. Rilevanza e impatto economico dei singoli profili di rischio. Nella gestione dell’azienda i rischi derivanti dagli obblighi normativi figurano stabilmente tra le preoccupazioni prioritarie delle imprese (sicurezza sul lavoro e difettosità del prodotto). Al quarto posto troviamo il rischio reputazionale. Rispetto a quest’ultimo profilo il 57% delle imprese ritiene il rischio reputazionale non assicurabile; inoltre, rispetto a tale rischio le aziende percepiscono un divario tra esposizione ed efficacia delle attività con cui esso è presidiato. 

Risorse coinvolte nel sistema di gestione dei rischi. 
Solo il 16,4% delle aziende impiega unicamente risorse interne per la gestione dei rischi, mentre nell’82,3% dei casi l’azienda ricorre all’affiancamento di un partner esterno. L’imprenditore si rivolge nel 37,7% dei casi a consulenti d’impresa, nel 27,1% ai broker e solo nel 17,5% dei casi alle assicurazioni. I rischi e la loro assicurabilità. Vi sono alcuni rischi che le imprese percepiscono come non assicurabili, tra i quali ad esempio il rischio di danno ambientale (rispetto al quale sono assicurate il 58% delle imprese). Il ricorso all’assicurazione coinvolge meno di un terzo degli intervistati per i seguenti rischi: business continuity e supply chain (il 32% delle imprese è assicurato), cyber risk (23% di imprese assicurate), tutela delle competenze professionali ex aequo con il rischio reputazionale (19% di assicurati) e imitazione del prodotto (13%). La causa del basso ricorso all’assicurazione è duplice: da una parte la mancata conoscenza dell’offerta assicurativa, dall’altra la percezione che l’evento dannoso abbia una bassa probabilità di verificarsi. Il costo delle polizze non sembra invece rappresentare il motivo principale della rinuncia (solo 25% dei casi). 

Formazione sulla gestione del risk management. 
Secondo la ricerca, il 70% delle imprese prevede di realizzare corsi sul tema della gestione dei rischi rivolti principalmente a figure operative dell’azienda. “Tuttavia vista la centralità dell’argomento per la governance è opportuno valutare il coinvolgimento del management aziendale” conclude il Presidente di Cineas. 

AUTORI E PARTNER DELLA RICERCA: OSSERVATORIO SULLA DIFFUSIONE DEL RISK MANAGEMENT NELLE MEDIE IMPRESE ITALIANE 
L’indagine – realizzata annualmente da Cineas in collaborazione con l’Ufficio Studi Mediobanca – nel 2018 è condotta con i seguenti partner: le compagnie assicurative Helvetia e Reale Mutua; la Società di brokeraggio Mansutti; la Società di bonifica e ripristino Benpower e la Società peritale C&P. 

(fonte: IlBroker.it)

Sicurezza sul lavoro: un convegno a Bologna in ottobre


Sicurezza sul lavoro: un convegno a Bologna in ottobre

Nel mondo del lavoro sono molte le attività svolte in particolari ambienti lavorativi caratterizzati da criticità e specificità rilevanti per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Specificità e peculiarità che, in fase di valutazione dei rischi e nel pieno rispetto di quanto richiesto dalla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro, devono essere analizzate per poter elaborare idonee strategie di prevenzione.

Il convegno sui particolari ambienti lavorativi
Proprio per migliorare la prevenzione in molte attività lavorative caratterizzate da particolari rischi, l’Associazione Italiana Formatori ed Operatori della Sicurezza sul Lavoro (AiFOS) ha organizzato il 19 ottobre 2018, durante la manifestazione “Ambiente Lavoro” che si tiene a Bologna Fiere, il convegno “Rischi, tutele e monitoraggi in particolari ambienti lavorativi”.

Ricordiamo che “Ambiente Lavoro”, manifestazione che si tiene a Bologna dal 17 al 19 ottobre 2018 presso il quartiere fieristico, è un momento di incontro tra operatori e aziende e uno spazio di promozione e diffusione di soluzioni e proposte per il presente e il futuro della prevenzione di incidenti e malattie professionali in Italia.

Il convegno sui particolari ambienti lavorativi, organizzato da AiFOS, vuole porre l’attenzione in particolare sull’analisi dei rischi legati ad attività svolte in ambiente montano, sanitario e attività su strada.


Le attività lavorative eseguite in ambiente montano
Con il Gruppo di progetto AiFOS Montagna si affronteranno, ad esempio, specifiche tematiche di valutazione dei rischi, tutele e monitoraggi legate ad attività lavorative eseguite in ambiente montano.

Si affronteranno, in questo caso, le caratteristiche del lavoro svolto spesso in condizioni critiche su terreni accidentati, in aree disagiate in zone di montagna, su pendenze elevate e in spazi ristretti dove si riduce il livello di meccanizzazione del lavoro ed aumentano le operazioni svolte direttamente dal lavoratore.

Ricordiamo che l’alta quota (anche fino a 3000 m) e le condizioni climatiche poco favorevoli all’uomo si aggiungono ai fattori che determinano rischi di incidenti e logoramento fisico e di patologie connessi. Si possono avere attività intense e fisicamente impegnative o attività in condizioni atmosferiche sfavorevoli (freddo fino a –15°C, pioggia, umidità, …) che possono mettere a dura prova l’apparato muscolo scheletrico e cardio-vascolare, il sistema immunitario e l’apparato respiratorio.

Senza dimenticare che l’ostilità dell’ambiente circostante aumenta poi le difficoltà nelle comunicazioni e rende impegnativa la gestione delle emergenze e di pronto intervento.

Le attività gravose e gli ambienti lavorativi
I fattori descritti per le attività lavorative eseguite in ambiente montano sono, in realtà, trasversali in attività anche molto differenti tra loro e che coinvolgono numerosi lavoratori quali: addetti degli impianti a fune, addetti del settore agricolo, operatori impegnati in lavori e turni notturni, addetti al settore forestale, addetti alla produzione di energia elettrica, …
Durante il convegno e con l’aiuto degli esperti di medicina del lavoro si affronteranno le tematiche legate a quelle attività cosiddette gravose che possono portare all’insorgenza di malattie professionali importanti.

Durante il convegno si cercherà di capire quali siano i rischi, le tutele ed i monitoraggi relativi a queste attività e quali potranno essere le prospettive future.

Infine, attraverso un focus relativo all’ergonomia, si approfondiranno anche i rischi derivanti dalle posture scorrette dei lavoratori nelle professioni sanitarie infermieristiche e in altri settori lavorativi.

Il link per avere ulteriori informazioni:
http://aifos.org/home/eventi/fiere/ambiente_lavoro_2018_int/eventi_ambiente_lavoro_2018/rischi_tutele_e_monitoraggi_in_particolari_ambienti_lavorativi

L’incontro, riservato a massimo 100 partecipanti, è valido per il rilascio di n. 2 crediti di aggiornamento per la figura di formatore alla sicurezza (area tematica 2), RSPP/ASPP.

Segnaliamo che per la partecipazione al convegno organizzato da AiFOS è gratuita, ma è necessaria la registrazione agli eventi e il pagamento della quota d’ingresso ad Ambiente Lavoro.


Per informazioni e iscrizioni:

Direzione Nazionale AiFOS
via Branze, 45 – 25123 Brescia
c/o CSMT, Università degli Studi di Brescia
tel.030.6595031 – fax 030.6595040
www.aifos.it – convegni@aifos.it

(fonte Aifos)

Rapporto Ismea sulla gestione del rischio in Italia: il mercato assicurativo agricolo vale 7,2 miliardi di euro


Rapporto Ismea sulla gestione del rischio in Italia: il mercato assicurativo agricolo vale 7,2 miliardi di euro


Si assicurano le aziende più grandi e strutturate
Nel 2017 il mercato assicurativo agricolo agevolato ha raggiunto in Italia un valore di circa 7,2 miliardi di euro, pressoché invariato rispetto all’anno precedente.
Un risultato che evidenzia una stabilizzazione del mercato, dopo un biennio caratterizzato da chiari segnali di sofferenza, dovuti in particolare al calo della richiesta di coperture assicurative contro i danni alle colture e alle strutture aziendali.

È questo uno degli elementi che emergono dal “Rapporto ISMEA sulla gestione del rischio in agricoltura”, realizzato in collaborazione con il Ministero delle Politiche agricole nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale Nazionale e presentato oggi durante il “X Convegno Nazionale CESAR sulla Gestione del Rischio in Agricoltura” tenutosi ad Assisi.

Il mercato si caratterizza per un elevato grado di concentrazione, sia in termini di prodotti sia di territori. Uva da vino, mele, mais, riso e pomodoro da industria rappresentano oltre due terzi dei valori assicurati; seguono pere, frumento tenero e nettarine. A livello territoriale, i due terzi dei valori assicurati sono riconducibili a Emilia Romagna, Veneto, Lombardia, Trentino Alto Adige e Piemonte.


L’Ismea ha tracciato anche un “identikit” dell’azienda-tipo assicurata: di dimensioni ben più elevate rispetto alla media (oltre 17 ettari), più strutturata e maggiormente meccanizzata, condotta da soggetti più giovani e con più marcate connotazioni imprenditoriali.
Lo studio Ismea ha consentito anche di valutare l’ammontare complessivo della spesa pubblica potenziale a sostegno della gestione del rischio in agricoltura, con dotazioni finanziarie, tra fondi statali, regionali e comunitari, pari a 314 milioni di euro annui, corrispondenti a una media di 214 euro per azienda agricola. (fonte Ismea)


Nel 2017 ben 28.500 allarmi hacker e il 2018 non parte meglio. Le aziende devono correre ai ripari


Nel 2017 ben 28.500 allarmi hacker e il 2018 non parte meglio.

Le aziende devono correre ai ripari.

Ci voleva anche la falla scoperta nei processori dei principali dispositivi digitali denunciata da un gruppo di esperti del settore, presente a loro dire da almeno dieci anni! Già il 2017 è stato un anno difficile per la sicurezza informatica e il 2018 è cominciato anche peggio. Per la precisione sono state individuate due tipologie di vulnerabilità: la prima, denominata Meltdown, coinvolge i processori realizzati da Intel; la seconda, Spectre, coinvolge invece i processori realizzati da Arm e Amd, oltre a quelli di Intel, ed è stata scoperta solo dal team Google di Project Zero.

A confermare la presenza di queste anomalie è stata anche Apple. L’azienda di Cupertino ha infatti ammesso che “tutti i sistemi Mac e i dispositivi iOs sono interessati dai problemi di sicurezza noti come Meltdown e Spectre”.

Siamo tutti a rischio, soprattutto le imprese. Solo in Italia, secondo i dati diffusi dalla Polizia Postale, le minacce informatiche contro le infrastrutture critiche nazionali l’anno scorso sono cresciute di cinque volte rispetto al 2016. Nel dettaglio sono scattati circa 28.500 allarmi hacker, mentre gli attacchi veri e propri hanno toccato quota 1006.

Il 2018 sarà dunque l’anno in cui le Compagnie assicurative dovranno farsi carico seriamente del problema.

La sicurezza informatica investe il mondo assicurativo sotto un duplice aspetto: come per essere le compagnie maggiormente esposte vista la quantità immensa di dati che custodiscono e che le rendono molto appetibili ai malintenzionati. Allo stesso tempo sono esse stesse a dover tutelare dai rischi gli altri settori di attività e i nuovi modelli di polizze legati all’internet of things (l’internet delle cose), per esempio ai dispositivi smart home, scontano il fatto che questi nuovi tipi di device sono altrettanto vulnerabili.

Ma è necessario che fra le imprese italiane aumenti ancora molto la percezione del rischio informatico come elemento fra i prioritari della gestione del rischio complessiva, come sta avvenendo nel mercato globale. Maria Bianca Farina, presidente dell’Ania, ha sottolineato recentemente:

“Finora abbiamo trattato il cyber risk con riferimento ai clienti corporate che per primi hanno cominciato a pensare ai rischi che possono derivarne. Ma il tema sta diventando rilevante anche per altri settori come, ad esempio, il retail. Per questo stiamo studiando contratti di assicurazione e ci aspettiamo una grande evoluzione. Pensate che il costo annuo globale legato alle frodi informatiche è stimato in un intervallo tra 100 miliardi e 1 trilione di dollari e il costo medio di incidente oscillerebbe tra 2 e 4 milioni di dollari. Si è stimato, inoltre, che questi rischi potrebbero avere l’incidenza di un mezzo punto percentuale sul PIL degli Stati Uniti o di un punto su quello tedesco. Secondo l’Insurance Information institute i premi per coperture cyber risk raddoppieranno in pochissimo tempo fino a raggiungere i 7,5 miliardi entro il 2020”.

La società UK Aon, attiva nei servizi finanziari e nella sicurezza informatica, ha in questi giorni pubblicato il suo ‘2018 Predictions: Trends in Cybersecurity’ in cui evidenzia come, oltre alla crescente e quasi incontrollata minaccia che si sta vivendo, si sia giunti alla situazione in cui il Chief Risk Officer diventerà una figura centrale nelle aziende, poiché la minaccia informatica perderà quel ruolo un po’ marginale che ha avuto finora per rientrare a pieno titolo (forse tra i principali) rischi aziendali. I dirigenti delle società ora sono finalmente consapevoli della gravità dei rischi (compresi guadagni ridotti, interruzioni operative e reclami contro amministratori e funzionari) e correranno ai ripari sottoscrivendo polizze cyber risk specifiche e su misura piuttosto che fare affidamento su componenti “silenziose” riposte in altre polizze. L’adozione di polizze cyber risk si estenderà oltre gli acquirenti tradizionali, ai settori della vendita al dettaglio, finanziario e sanitario, alla produzione, trasporto, servizi pubblici.

“Nel 2017, gli hacker hanno creato scompiglio attraverso una serie di leve, dagli attacchi di phishing che hanno influenzato le campagne politiche ai cryptoworms ransomware che si sono infiltrati nei sistemi operativi su scala globale. Con la crescita dell’Internet of Things (IoT), abbiamo anche assistito a proliferazione degli attacchi DDoS (distributed denial-of-service) sui dispositivi IoT, che paralizzano la funzionalità del dispositivo “, ha dichiarato Jason J. Hogg, CEO di Aon Cyber Solutions. “Nel 2018, prevediamo un’esposizione cibernetica più ampia a causa della convergenza di tre tendenze: in primo luogo, il crescente ricorso da parte delle aziende alla tecnologia, in secondo luogo, l’intensificarsi della protezione dei dati dei consumatori e, in terzo luogo, il valore crescente delle attività non fisiche. “.

Il problema della sicurezza informatica è naturalmente globale e altrettanto globale sarà il trend di crescita delle polizze cyber risk. Per esempio, in India il boom si è già sentito: nel 2017 il mercato è cresciuto del 50%. L’Insurance Information Institute ha previsto che i premi per coperture cyber risk raggiungeranno i 7,5 miliardi entro il 2020. (fonte InsuranceUp)

Aziende: danni da eventi climatici e polizze. Italia in ritardo come al solito

 

Aziende: danni da eventi climatici e polizze: 

Italia in ritardo come al solito

Tempestività in Italia? “Non pervenuta”. Le tempeste sì però, sempre più spesso. Tanto per cambiare altrove si sono attivati da tempo prima di noi. Nella prevenzione del rischio legato al maltempo le aziende americane sono infatti più avanti di quelle italiane. Il fatto è che ben il 70% di esse sono esposte in qualche forma, anche quelle non necessariamente appartenenti al comparto agricolo. Si pensi che nel 2016 negli Usa i danni per la sola cosiddetta “grandine grossa” ammontano a bilioni di dollari. Immaginate altri settori come i voli aerei interni per esempio. Ma anche l’energia, la vendita al dettaglio, gli alimentari, l’abbigliamento, il turismo, la distribuzione, trasporti ed edilizia si rivelano non meno sensibili a cambiamenti climatici anche modesti, quanto lo sono alle variazioni dei tassi di interesse o di cambio.

Del resto, alcuni punti percentuali di Pil sono mangiati dagli eventi “ordinari”, si intende che i dati non comprendono i costi imprevisti associati a quelli estremi, come uragani o tornado: si parla di comuni giornate di pioggia quando sarebbe previsto un sole primaverile, che ritarda per esempio le vendite delle collezioni primavera-estate nel fashion, di certi alimentari tipicamente stagionali (gelati) o le prenotazioni di viaggi e vacanze. Ma anche, nel settore energetico, la mancanza di vento o di sole può ridurre la prevista produzione di energia eolica/solare, nelle economie in cui le fonti rinnovabili hanno già un certo peso, come ad esempio in Germania.

Come difendersi

La gestione del rischio climatico consiste nel controllo dei rischi finanziari direttamente o indirettamente collegati al verificarsi di un evento meteorologico osservabile, o alla variabilità in un indice quantitativo sugli sbalzi di tempo atmosferico. Le coperture sono basate sulla registrazione accurata di dati meteo indipendenti, che vengono poi utilizzati in un indice sviluppato su misura per l’azienda di cui deve misurare la sensibilità del fatturato appunto a quelle variazioni. La disponibilità di dati meteo aggiornati è migliorata notevolmente negli ultimi dieci anni, migliorando così parallelamente la possibilità di effettuare una gestione strategica del rischio meteo e consentendo di prevedere coperture ad hoc anche in località remote del globo. L’abilità nella gestione del rischio tempo sta appunto nell’identificare e costruire l’indice giusto che rappresenti fedelmente il fenomeno e il relativo impatto sul business del cliente.

In Olanda c’è il “Frost Day”

Per far fronte a quest’ordine di rischi, il settore assicurativo ha sviluppato –specie in Paesi dai climi particolarmente ostili – soluzioni innovative a sostegno delle attività economiche più esposte a rischi climatici: ad esempio, in Olanda, dove il clima è ben più rigido del nostro per molti mesi all’anno, esistono clausole contrattuali che consentono agli operai edili di non lavorare (mantenendo comunque la paga pattuita): quando la temperatura scende al di sotto di una prefissata soglia ritenuta pericolosa per lavorare all’aperto, gli operai restano a casa, percepiscono la paga e la copertura assicurativa “Frost day” indennizza l’imprenditore del costo per le giornate lavorative perse.

E in Italia?

 In questo campo ci troviamo ancora ai primordi: si sta iniziando ora a offrire anche alle imprese nostrane prodotti assicurativi centrati sulla copertura dai rischi climatici. Si cominciano a sviluppare soluzioni ad hoc per il rischio climatico: non si tratta di polizze standardizzate, bensì di soluzioni tailor made che partono in primo luogo da un’analisi del rischio specifica per il settore merceologico di attività ed il singolo cliente in questione, per poi fornire una risposta ad hoc alle esigenze di quest’ultimo.

Ad esempio, per gli agricoltori italiani produttori di cereali, il clima è un fattore chiave del business, come per i sopracitati produttori di energia eolica tedeschi; un periodo di gelo durante la semina, una calura eccessiva mentre crescono le piante o piogge insistenti prima e durante la mietitura sono fra i fattori in grado d’impattare notevolmente sul raccolto e quindi sul fatturato dell’azienda agricola. Se chiedete a un agricoltore cosa teme per i propri raccolti, vi dirà che i fertilizzanti si possono controllare e che – perlopiù – di incendi non ne sono mai scoppiati, quindi alla fine il clima è l’unica vera preoccupazione. Quindi una polizza sui rischi climatici può essergli assai più utile di una tradizionale polizza sul raccolto, che copre tutti i rischi, da quelli legati ai pesticidi agli incendi e così via, perché in quelle coperture la valutazione del danno climatico subìto dipende dal perito, quindi si possono verificare controversie e a volte i rimborsi arrivano anche dopo un paio d’anni. Mentre con una polizza sul clima l’indennizzo è stabilito oggettivamente dall’intensità – poniamo – di precipitazioni registrate nel periodo e quindi si viene pagati nel giro di qualche giorno, indipendentemente dalla ricchezza o meno del raccolto finale.

Siamo ai primi passi di un segmento assicurativo per il mercato italiano nuovo ma promettente e da tenere sotto la lente, perché è probabile che presto ci riservi sviluppi molto interessanti. (Fonte Cineas)

Attacco informatico, Fedex non era assicurata, ripercussioni anche per il titolo in borsa


Attacco informatico, Fedex non era assicurata, ripercussioni anche per il titolo in borsa


La gestione dei rischi dalla rete è ormai una priorità per aziende e professionisti

Un colosso mondiale delle spedizioni come Fedex in sofferenza in borsa a causa di una violazione informatica dei propri sistemi? Pare di sì. Ci offre l’occasione di parlare di questo importante argomento una comunicazione di queste ore del grande player dei corrieri. L’attacco hacker “Petya” partito il 27 giugno scorso dall’Ucraina e che ha colpito varie aziende tra cui il gruppo petrolifero russo Rosneft, il colosso pubblicitario britannico Wpp e quello danese delle spedizioni Maersk potrebbe infatti avere un impatto anche finanziario su FedEx, poiché la sua controllata TNT Express ne è rimasta colpita.

Nei giorni scorsi FedEx ha fornito un aggiornamento ribadendo la gravità dell’intrusione informatica subita e comunicando che i propri clienti “stanno ancora vivendo ritardi”. In un documento depositato presso l’autorità di Borsa Usa, il gruppo ha spiegato di avere avuto “una perdita di ricavi a causa di volumi in ribasso per TNT e costi in aumento associati all’implementazione di piani di emergenza e riparazione dei sistemi colpiti”. Oltre a non sapere quando le cose potranno essere normalizzate, Fedex ha dichiarato di non avere alcuna assicurazione per proteggersi dal cyber-attacco subito. Avete capito bene. Il risultato è che anche il titolo FedEx ha avuto ripercussioni quando da inizio anno aveva guadagnato il 14% circa e negli ultimi 12 quasi il 33%.

Sicurezza informatica: un’emergenza

Il tema della sicurezza informatica deve entrare assolutamente nella cultura aziendale della gestione del rischio. Nel 2016, 8 aziende su 10 hanno subito attacchi e le compagnie assicurative stanno sviluppando prodotti all’uopo per affrontare questa emergenza.

Secondo “Insurtech Report 2016” di Burnmark, la cyber security è uno dei driver che nei prossimi anni spingeranno maggiormente la crescita di assicurazioni e insurtech. In questi ultimi anni, dice infatti il report, le assicurazioni per la cyber security sono cresciute moltissimo come dimensione del mercato e fatturato, nonostante si trattasse ancora di un settore in cui entrare con i piedi di piombo per le compagnie, viste le oggettive difficoltà a prevedere, contenere, gestire gli attacchi informatici. Sono ancora pochi i dati storici necessari per stabilire un pricing corretto delle polizze e vi è una grande variazione di anno in anno nel tipo di attacchi informatici e danni che le aziende si trovano ad affrontare di più.

La criminalità informatica costa annualmente alla società dai 330 ai 500 miliardi di dollari, e questi costi cresceranno con il crescere della digitalizzazione e dell’integrazione digitale di tutta la supply chain delle organizzazioni aziendali. In tale contesto, il mercato globale per la cyber insurance è stimato possa raggiungere almeno i 20 miliardi di dollari in premi sottoscritti entro il 2025.

Burnmark riferisce tuttavia che ancora oltre il 50% delle compagnie non ha nessuna polizza dedicata, fatto che rende centrale il ruolo di interfaccia dei broker assicurativi per supportare sia l’acculturazione aziendale verso queste tematiche che la loro possibilità di individuare prodotti rispondenti alle loro esigenze di sicurezza.

Perché assicurarsi

Una tutela assicurativa permette di sopportare i costi derivanti dai danni causati alle terze parti per le quali l’azienda è civilmente responsabile: si può trattare per esempio di costi legali, dei costi per notificare i consumatori circa le violazioni dei dati che hanno portato il rilascio di informazioni private, di costi per il ripristino della situazione pre-attacco o per la fornitura di servizi di monitoraggio del credito, di costi per attività di pubbliche relazioni e campagne pubblicitarie per ricostruire la reputazione dell’azienda.

Alcune polizze possono anche arrivare a coprire la responsabilità degli amministratori e manager aziendali o l’interruzione di attività derivante da un attacco che può diminuire le entrate, così come le perdite subite per attacchi cosiddetti “ransomware” (in aumento) attraverso i quali gli hacker realizzano di fatto un’estorsione, mettendo (o minacciando) il black-out dei sistemi di un’azienda se non si paga una somma di denaro.

L’intensificarsi di questo fenomeno sta causando una emergenza non ancora sufficientemente avvertita da tutti i soggetti del mondo imprenditoriale e delle libere professioni. La tendenza è ancora in molti casi ad affrontare i problemi quando sono già scoppiati. La gestione del rischio è invece per definizione un insieme di strategie tese a prevenire gli scenari e le criticità. I vantaggi finali nel medio e lungo periodo sono ormai statisticamente dimostrati nell’oggettiva concretezza dei bilanci, della credibilità e autorevolezza dell’immagine aziendale e professionale, degli andamenti borsistici. Chi non saprà cogliere la valenza prioritaria di queste tematiche rischia di doversene pentire amaramente in un domani molto prossimo. (fonti Ansa – Radiocor – InsuranceUp)

Agricoltura: fondi UE per le assicurazioni, ma le polizze calano

Agricoltura: fondi UE per le assicurazioni, ma le polizze calano

Guidi: «Le risorse ci sono ma lo strumento è un “mostro” e non decolla»

«Gli agricoltori si stanno disaffezionando dallo strumento assicurativo, laddove invece l’obiettivo era quello di far crescere i contratti, con il rischio anche di perdere risorse comunitarie preziose che rischiano di tornare a Bruxelles». Lo ha denunciato il presidente di Confagricoltura Mario Guidi nel corso della conferenza stampa indetta a Roma dall’Organizzazione degli imprenditori agricoli sul tema.

«Tra i paesi comunitari – ha proseguito Guidi nel suo intervento – l’Italia è uno di quelli che hanno puntato maggiormente sulle misure di prevenzione del rischio attraverso l’assicurazione agevolata dei prodotti agricoli; uno strumento in cui Confagricoltura crede fortemente e di cui ha sempre sollecitato la diffusione. D’altronde le risorse disponibili provenienti da Bruxelles sono interessanti: 1.600.000 euro per sei anni, dal 2015 al 2020, messi a disposizione del Piano di sviluppo rurale italiano».

Grandine, gelate, alluvioni, terremoti… cause di preoccupazione l’agricoltura ne ha sempre storicamente patite e con l’imprevedibilità degli eventi deve convivere. Eppure le polizze stipulate calano. «Nel 2015 è cambiato completamente il sistema di sostegno – ha osservato Guidi – passando dalla piattaforma nazionale a quella europea è stato creato un mostro. Non si è riusciti a creare un modello assicurativo che sia agevolmente fruibile. Burocrazia, errori gestionali e procedure informatiche ancora non definite per la compilazione dei piani assicurativi individuali (Pai) ritardano l’erogazione dei contributi comunitari.

E così ci troviamo che si è aperta la nuova campagna assicurativa 2017 per le produzioni agricole mentre si sta ancora provvedendo ai primi pagamenti alle aziende delle polizze agevolate che si riferiscono alle domande del 2015. In questo modo si mette in crisi pure il sistema dei consorzi di difesa (che anticipano i premi dei produttori). C’è poi – ha aggiunto ancora – il problema del sistema di regole per calcolare le rese medie che non permette alle imprese di accendere polizze con valori assicurati adeguati alle proprie esigenze. Le aziende spesso sono costrette a stipulare contratti assicurativi con valori troppo bassi rispetto alle loro potenzialità produttive; così le polizze finiscono per perdere di interesse per i contraenti».

Confagricoltura ha snocciolato i dati: in due anni si è perso il valore assicurato del 17% (-6% nel 2015 e 11,3% nel 2016). Ma, se si entra nel dettaglio dei settori, si scopre che il valore assicurato delle produzioni vegetali è sceso del 26%, con una perdita di 851 milioni di euro che ha riguardato soprattutto il Meridione, che già presentava una scarsa diffusione di polizze assicurative.

«Le nostre priorità – ha concluso il presidente di Confagricoltura Guidi – sono: una riconsiderazione delle procedure del Pai, con l’obiettivo di una reale semplificazione e snellimento del processo; una ridefinizione del sistema del calcolo delle rese medie produttive delle imprese per arrivare a una certa flessibilità ed eventualmente alla possibilità dell’applicazione di meccanismi basati su indici per aree produttive».

In sostanza, non vale da sé il fatto che vengano messe a disposizione delle risorse tout-court fissando come obiettivo il mero collocamento di determinati prodotti assicurativi predeterminati. La varietà di casistiche, condizioni, scenari che caratterizzano un settore complesso com’è quello della produzione agricola vive di connotazioni assai differenziate, ciò anche sul piano dei diversi ambiti territoriali, delle tipologie produttive e di altre molteplici variabili. Esige quindi un forte lavoro di affinamento nelle relazioni fra i soggetti preposti alla gestione delle risorse disponibili e i destinatari finali che sono gli agricoltori. I prodotti assicurativi vanno calati nei contesti differenti e personalizzati secondo le esigenze rispettive delle aziende e devono quindi in partenza configurarsi con una maggiore duttilità d’impianto, rispetto alla quale le imprese possano far valere il proprio specifico bisogno, trovando così concrete risposte e sostegno alle proprie attività.

Nel nostro territorio le criticità non mancano e alcune potrebbero suggerire anche di allargare la casistica di danni posti sotto tutela, si pensi per esempio ai furti di clamorose quantità di forme di Parmigiano-Reggiano. Anche il settore della trasformazione e lavorazione, cioè, sarebbe terreno per una politica oculata di gestione del rischio, così come pure nell’allevamento non mancherebbero i temi: i periodici casi di patologie epidemiche che colpiscono animali avicoli, bovini e altre specie (afta, peste suina, bluetongue, ecc.) ne sono un esempio.

Quattro Pmi su cinque nel mondo temono gli impatti del “climate change” sul proprio business, mentre in Italia il rischio è ancora sottovalutato


Quattro Pmi su cinque nel mondo temono gli impatti del “climate change” sul proprio business, mentre in Italia il rischio è ancora sottovalutato

Sono stati presentati in occasione della ventiduesima Conferenza mondiale sul clima COP22 a Marrakesh gli esiti della IV indagine annuale di Zurich sulle piccole e medie imprese: lo studio aveva per oggetto la percezione dei rischi dovuti all’impatto dei cambiamenti climatici sul business. I risultati ci dicono che in Italia tale sensibilità non è ancora abbastanza diffusa, a fronte di una percezione a livello globale molto più sviluppata. L’indagine è consistita in una serie di quesiti posti ai leader di 2.600 piccole e medie imprese di tutto il mondo. Un campione rappresentativo di 200 Ceo/owners, direttori generali, Cfo, Coo in oltre 13 paesi: Australia, Austria, Brasile, Germania; Hong Kong, Irlanda, Italia, Messico, Portogallo, Spagna, Svizzera, Turchia e Stati Uniti d’America.
I risultati in Italia:

L’Italia è uno dei Paesi in cui le Pmi sottovalutano di più l’impatto di eventi climatici estremi sul proprio business: solo il 63% di esse lo considera come minaccia. Gli eventi climatici più temuti sono le forti piogge (19%) e alluvioni (18%).

Il 32% ritiene che il rischio cui prestare maggiore attenzione sia l’interruzione dell’attività aziendale, mentre il 22% delle Pmi si preoccupa per i danni materiali. Seguono i timori per l’incremento dei costi per l’acqua e l’energia (17%), l’aumento della burocrazia a causa dell’entrata in vigore di nuove normative (13%). Poche piccole e medie imprese vedono nelle politiche di contrasto al climate change una opportunità di business.
Nel mondo:

L’80% delle Pmi teme conseguenze legate a eventi climatici connessi ai cambiamenti climatici. Alluvioni (22%) e siccità (20%) sono i rischi più temuti. Danni materiali (36%),
interruzioni al business aziendale (26%) sono i rischi da cui sia più difficile proteggersi percepiti come maggiori.

In termini complessivi

A livello globale, ben quattro aziende su cinque teme l’impatto di cambiamenti climatici sul proprio business. Ai rischi succitati ne seguono altri: danni alla salute dei dipendenti (15%) e costi maggiori per l’approvvigionamento di acqua ed energia (15%).

Solo poche aziende multinazionali ritengono che una politica di contrasto al climate change possa offrire opportunità di business, mentre non ci sono aziende che vedono nel fenomeno un vero e proprio investimento.
Esistono significative differenze nella percezione del rischio climate change e del potenziale impatto che può avere il fenomeno sull’attività aziendale rispetto alle diverse aree geografiche analizzate.

L’Italia è uno dei Paesi, al pari di Svizzera e Irlanda, in cui le Pmi sottovalutano maggiormente questo tema.

Europa: le Pmi temono le alluvioni

Dando uno sguardo all’Europa, le Pmi sono, in assoluto, meno propense a considerare i cambiamenti climatici un rischio per la propria esistenza. Un quarto di esse, dato più alto registrato in tutte le aree del mondo oggetto dell’indagine, non anticipa alcun impatto negativo sulla propria attività a causa del climate change.

Fra quelle che ritengono che il climate change possa essere invece un rischio (75%), le alluvioni sono gli eventi che possono avere i più ingenti impatti sul business; mentre i danni materiali sono considerati i maggiori rischi (35%).
Cecilia Reyes, Group Chief Risk Officer di Zurich, ha dichiarato: “I risultati dell’ultima ricerca Zurich sulle PMI dimostrano che sono moltissime le aziende che si preoccupano per i rischi e gli impatti potenziali del climate change sul proprio business. Le aziende dovranno quindi implementare azioni che limitino questi rischi, ma anche identificare le opportunità di business che possano derivare dal fenomeno dei mutamenti climatici in corso.” (fonte Zurich)

Medie imprese: se gestiscono il rischio, +38% di redditività

Medie imprese: se gestiscono il rischio,
+38% di redditività

Come non ci stanchiamo di ricordare, in Italia la cultura della gestione del rischio deve ancora fare passi da gigante prima di raggiungere i livelli auspicati. Se questo vale soprattutto, in termini percentuali, nel settore privato delle persone, delle famiglie, anche nel mondo produttivo dobbiamo ancora darci da fare. Un fattore determinante per far comprendere agli imprenditori l’importanza del tema Risk management è prendere consapevolezza dell’oggettività dei dati legati ai vantaggi sulla redditività che un miglioramento delle strategie al proposito produrrebbe. Le medie imprese italiane che adottano un metodo di gestione integrato e trasversale dei rischi presentano infatti una redditività maggiore del 38% rispetto a quelle che non dispongono di un sistema dedicato alla gestione del rischio.

A questo proposito vale la pena ricordare quanto emerso dall’ultima edizione dell’Osservatorio di Cineas – Consorzio Universitario fondato dal Politecnico di Milano – sulla percezione e gestione dei rischi da parte delle medie imprese, realizzata in collaborazione con Mediobanca, con il contributo di PER SpA. L’indagine ha preso in esame 280 aziende medie italiane, rilevandone un fatturato medio di 60 milioni di euro, in cui la quota dell’export ammonta al 45,5% e il numero medio dell’organico a 156 dipendenti.

“Rispetto alle scorse edizioni, nel 4° Osservatorio sulla diffusione del risk management nelle medie imprese – ha spiegato il presidente di Cineas, Adolfo Bertani – abbiamo cercato anche di capire come nuovi fattori quali il terrorismo, gli eventi climatici estremi e le innovazioni dell’Industria 4.0 abbiano cambiato la percezione del rischio da parte degli imprenditori italiani.”

I rischi maggiormente percepiti dagli imprenditori italiani sono quelli provenienti dal mancato rispetto di obblighi normativi, come la sicurezza sul lavoro, la responsabilità civile per difettosità del prodotto e il rispetto della normativa fiscale. Al terzo posto troviamo un’area cui gli imprenditori sono sempre più attenti, quella del cosiddetto cyber risk.

“Da segnalare con positività è il rischio reputazionale al quinto posto che nella scorsa edizione dell’Osservatorio si trovava in una posizione molto più arretrata – è stato il commento di Gabriele Barbaresco, direttore dell’Ufficio Studi di Mediobanca – Questo appare coerente con la già dichiarata volontà da parte delle imprese di presidiare attentamente il contenuto qualitativo delle proprie produzioni.

Il rischio di imitazione del prodotto compare in ultima posizione, poiché le imprese fanno della qualità – che leggiamo nei rischi delle prime posizioni – il principale vantaggio competitivo”.
Redditività maggiore per le aziende che guardano ai rischi più avanguardistici
I dati evidenziano non solo che le imprese più evolute dal punto di vista della gestione del rischio riportano regolarmente performance economiche (ROI) più soddisfacenti, man mano che ci si sposta verso la gestione di rischi che esulano dall’obbligatorietà legale e che riguardano leve competitive come la reputazione, le competenze specifiche, il Cyber Risk e il rischio di imitazione del prodotto l’impresa risulta più efficiente in termini economici.

Aziende del settore alimentare protagoniste nella gestione dei rischi
Il settore più virtuoso nella gestione dei rischi è senz’altro quello Alimentare, dove i maggiori presidi sono dedicati alla tutela del prodotto contro la contraffazione e alla gestione del rischio reputazionale,
coerentemente con un settore che fa dell’autorevolezza del marchio e della sua sicurezza igienico-nutrizionale i propri vantaggi competitivi. Seguono i settori Chimico-Farmaceutico e Meccanico. Relativamente arretrate invece le imprese che producono Beni per la persona e per la casa e il settore Metallurgico.

FOCUS “NUOVI RISCHI”
Terrorismo: un’impresa su tre teme per l’incolumità dei propri dipendenti

Interrogati sui rischi legati al terrorismo è emerso che l’attuale contesto di crescente incertezza geopolitica ha aumentato la preoccupazione degli imprenditori. Quasi un’impresa su tre (30,7%) teme per i propri dipendenti condizionando la loro mobilità. Le preoccupazioni salgono al 35,7% dei casi quando si parla di supply chain. Ma è sotto il profilo commerciale che le imprese avvertono i rischi maggiori di instabilità, un’impresa su due infatti (51,3%) vede in pericolo le proprie vendite per una caduta della domanda dovuta all’alterazione che il rischio terrorismo può produrre sulle abitudini di consumo dei propri clienti.

Rischi climatici estremi: il 62% delle imprese è assicurato
Un’altra tipologia di rischio su cui si è raccolta l’opinione delle imprese riguarda i rischi ambientali legati a fenomeni climatici estremi, anche qui ciò che desta maggiore preoccupazione è il profilo commerciale (33,2%), seguito dal rischio di mancata integrità del ciclo di produzione e di approvvigionamento. Sulle calamità naturali però la percezione delle ricadute è più sfumata, anche perché il 61,9% delle imprese gode di una copertura assicurativa, rispetto alla componente terroristica su cui solo il 32,6% delle aziende è assicurato.

Industria 4.0: chi ne riconosce il valore ottiene performance economiche migliori
Per quanto riguarda la percezione sulle nuove frontiere tecnologiche e il loro impatto in tema di gestione del rischio aziendale, sono stati analizzati: l’utilizzo delle forme di automazione che escludono l’intervento umano, come l’auto senza pilota; la domotica; l’uso dei droni; il mobile e-health e l’utilizzo delle stampanti 3D.
Il quadro che emerge testimonia ancora una certa diffidenza verso queste innovazioni, delle quali maggiore rilevanza viene attribuita alla domotica. Ma mettendo a confronto la valutazione sulle diverse innovazioni e la redditività, risulta che le imprese che vi hanno attribuito maggiore rilevanza, sono anche le più profittevoli.

Chi gestisce il rischio in azienda? Per ora i consulenti
Nel 76% dei casi per la realizzazione del sistema di gestione del rischio si ricorre a partner esterni, spesso di natura consulenziale. Meno frequente la presenza assicurativa (28,8%).

“Per le compagnie di assicurazione questo dato apre grandi spazi di attività nello sviluppo di servizi di consulenza alle medie imprese per la gestione del rischio – afferma Adolfo Bertani, Presidente di Cineas – Se non lo faranno le compagnie qualcun’altro coglierà questa opportunità”. (fonte: Cineas)